Crystal Fighters – Pop Corn Club, Marghera – 05.02.2011

Non ero sicuro di scrivere questa recensione, troppe cose sono andate storte quella sera e non volevo scrivere un articolo negativo su un gruppo che mi piace.
Parliamoci chiaro, non è colpa del gruppo se la serata non è stata tra le migliori…ma andiamo per ordine.

Tramite un amico vengo a sapere che i Crystal Fighters suonano al Pop Corn di Marghera, vale a dire vicinissimo a casa. Non capisco come non essermi accorto di questa data, perchè è da un pezzo che tengo d’occhio le date del gruppo spagnolo. Forse una cosa decisa all’ultimo minuto? A giudicare dall’organizzazione del locale potrebbe essere.

Non lo so se al Pop Corn Club sia sempre così, visto che ci sono andato solo in questa occasione, ma l’impressione che ho avuto è stata purtroppo pessima.
L’idea è buona, creare un club dove portare una volta al mese tutte quelle nuove realtà internazionali che noi veneti di solito dobbiamo andare a vedere a Milano o Bologna (in marzo per dire ci suoneranno i New Young Pony Club). Queste serate si chiamano Club NME, dal nome della storica rivista inglese, serate che si tengono in diversi locali europei e tramite le quali gruppi come Gossip, Foals, etc. hanno trovato fama internazionale.
Fin qui, tutto bellissimo.
Arriviamo a Marghera e troviamo il posto.
Si tratta di un locale ricavato su un vecchio edificio industriale appena sotto la tangenziale di Mestre, molto underground, sembra davvero di stare a Berlino. Riusciamo ad entrare quando ancora il locale è semivuoto. Dando un’occhiata al posto non sembra affatto male; capriate in legno e muri in mattoni rossi…poi ti giri e dietro il bancone del bar vedi due begli schermi piatti con trasmesse delle partite di calcio!! Che c’entra la Domenica Sportiva con la musica e la cultura indie?
Faccio finta di niente e ordiniamo delle birre, che (come cominciamo a sospettare) costano una cifra. Ok, ora tutto è chiaro, il solito locale ARCI dove di associativo c’è solo la tessera ed i prezzi sono quelli di una normale discoteca…schermi al plasma compresi.
Inoltre l’attesa comincia a farsi veramente lunga e la gente non arriva.
Si scopre che ci sono quelli della SIAE all’ingresso e quindi la gente senza tessera non può entrare, in quanto la tessera dev’essere fatta almeno il giorno prima dell’evento…siccome la mezzanotte è passata, la security tiene la gente fuori dai cancelli(!).
All’una ancora non si vede nessuno sul palco, il DJ è uno con una bella maglietta ma con dei dischi di merda e la media delle persone presenti (poche) si aggira attorno ai 18 anni, tutti ragazzi che hanno meno problemi di me a pagarsi i drinks e che passano il tempo a farsi foto col flash facendo a gara per chi fa la faccia più cogliona.
Comincio a pensare di non aver avuto una buona idea.

Poi però alla fine qualcosa sembra succedere. Sul palco all’inizio sono in 4, poi sale anche il cantante coperto da un sudario che lo rende abbastanza inquietante. La musica, anche qui un insieme di elettronica, dance e musica tradizionale basca, cresce un po’ alla volta fino a che sento i miei piedini cominciare a muoversi a ritmo.
Un po’ alla volta dimentico i 20 euro spesi in birra, il ragazzino strafatto coglione che mi ha rotto i maroni prima del concerto, gli schermi al plasma, e mi lascio trasportare dal ritmo del gruppo.
Sì, perchè i Crystal Fighters fanno ballare alla grande, e l’atmosfera diventa quella di un concerto vero (cosa che non sembrava così logica). Anche il suono non è male, malgrado il check non proprio esaustivo fatto pochi minuti prima col DJ che sparava la sua merda a manetta e gli strumenti non elettrici presenti sul palco (una percusione tradizionale basca e una chitarra acustica).
Tecnicamente non proprio perfetti, ovviano a questo con dei ritmi che non ti lasciano star fermo ed hanno una bella presenza sul palco. Il cantante in particolare, col suo fare da guru strafatto, coinvolge e porta chi lo guarda ad entrare in un mondo mistico e lisergico che probabilmente avrei apprezzato di più in un altro contesto, ma che anche qui riesce a coinvolgermi tanto da farmi uscire dal locale addirittura contento.

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Primavera Club 2010

Breve resoconto di 4 giorni al Primavera Club 2010 – Barcellona

Innanzitutto va detto che il Primavera Club è la versione invernale del Primavera Sound, festival che ogni anno si svolge (come il nome potrebbe far intuire) in maggio a Barcellona.
A differenza della versione primaverile, i concerti si tengono all’interno di diversi clubs della città catalana e di Madrid, trasformando la manifestazione in una specie di caccia al concerto per le strade delle due metropoli… una caccia molto divertente.

La lista dei gruppi che hanno partecipato a quest’edizione del festival è lunghissima, ma se proprio ci tenete potete trovarla qui.
La lista dei concerti che invece sono riuscito a vedere  io invece è ben più breve.

25 novembre

Cominciamo alle 20.00 (i concerti iniziano e finiscono con una puntualità che poco si addice all’idea che mi ero fatto della Spagna todo fiesta y siesta) all’Apolo, sicuramente una delle sale concerti più belle in cui sono stato, via di mezzo tra una sala da ballo di saloon e un piccolo teatrino, di fatto un gran bel posto dove suonare e vedere concerti.

Wild Nothing

In teoria una one man band (il disco “Gemini” è stato suonato tutto da tale Jack Tatum), ma sul palco si presentano in 4.
Poca differenza, visto che per i miei gusti sono un po’ troppo moscetti. Carini, camicie a quadri, baffetti d’ordinanza, chitarre e riverberi à la page…insomma, poca sostanza.
Come primo concerto non mi lascia molto da dire e se proprio volete ascoltarvi il loro “Gemini” vi consiglio di scaricarvelo prima e poi decidere se risponde o meno ai vostri gusti.

Finito il concerto dei Wild Nothing mi trovo davanti alla prima scelta: Male Bonding al La2 o Tweak Bird al Moog? I primi suoneranno anche il giorno dopo, quindi opto per i secondi.

Tweak Bird

21.30 – Moog, localino nei pressi delle Ramblas, piccolo e decisamente underground, promette bene. Sul palco due amplificatori e una batteria più un tipo magrolino che sistema con attenzione un discreto numero di pedalini.
Mi prendo una birra e mi sistemo vicino al palco curioso di vedere se dal vivo questo duo dell’Illinois spacca come su disco (“Tweak Bird”). Come si vede nel video, i ragazzi non hanno disatteso le mie aspettative, anzi, il disco suona decisamente meno aggressivo e potente del loro live. Suoni di chitarra massicci, punk-blues all’ennesima potenza, batteria pestata come si deve.
Notevole, ma nulla di nuovo direte voi.
Ma è quando cantano che si nota la differenza dai vari power-duo che capita di ascoltare; linee melodiche e voci che poco hanno a che fare col genere, ma che riescono a far suonare il tutto piuttosto originale. In più qualche giochetto con un Theremin collegato agli effetti di chitarra dà quel che di sperimentale che non guasta.
Dal primo all’ultimo pezzo tutti con le teste a scandire le mazzate del batterista (che quel giorno compiva gli anni, auguri) e a godere nel sentire i propri timpani stimolati a dovere.
Finito il concerto mi dirigo al loro banchetto per portarmi a casa il CD, solo che il CD non c’è. I tipi hanno deciso che è molto più fico uscire solo col vinile…peccato che io il giradischi non ce l’ho! Mi dicono che però posso comprargli la maglietta (!).

Esco dal Moog e mi dirigo verso il La2, locale sotto l’Apolo, ma a differenza di questo più piccolino e moderno. Prendo l’ennesima birra (4.50€…alla faccia del cazzo) e aspetto i Jaill.

Jaill

Il disco promette bene, classico indie americano anni ’90 poco attento alle tendenze e alla moda di questi tempi e ben ancorato ai dettami del genere.
A dimostrazione che all’apparenza preferiscono l’attitudine, il cantante decide di salire sul palco sbronzo e intenzionato a sparare una marea di cagate, risultando alla fine abbastanza antipatico. Ma a parte questo dettaglio il concerto risulta gradevole, facendomi tornare indietro nei magici anni del college rock quando le camicie a quadri si compravano ai mercatini dell’usato e non all’H&M (vi ricordate?).
Niente di sconvolgente, ma sinceri quanto basta.

26 novembre

Screaming Females

Ascoltati sul loro myspace prima di partire per Barcellona, vado a vedere questo trio al Marula Cafè. Anche qui localino piccolo (i miei preferiti) dove riesco a sistemarmi praticamente sul palco e vicino alla leader nonchè chitarrista Melissa Paternoster. Scelta ottima, perchè la nostra si rivela una piccola bestiola da palco.
Musicalmente non molto originali, devono il mio entusiasmo alla performance di Melissa, scricciolo di donna vestita come Mercoledì degli Addams che alla chitarra mi ricorda J. Mascis dei Dinosaur J.  e dotata di una voce niente male, per quanto non risponda del tutto ai miei gusti.
In ogni caso esco dal Marula soddisfatto e con un CD in più.

Arriva la sera e l’ora di tornare all’Apolo per quel che si rivela un seratone. Riesco purtroppo a perdermi i Teenage Funclub, ma arrivo in tempo per…

Male Bonding

Inglesi, dal vivo si presentano bene e fanno il loro lavoro come si deve.
Veloci, grezzi, giovani e freschi, tutte caratteristiche che in un gruppo mi piacciono assai.
Le melodie vocali poi sono dolci e scazzate quel tanto da non infastidire, dando appunto quel tocco di fresco e giovane di cui sopra. Ricordano un mix tra Pixies e i Nirvana di Bleach (sarà per questo che sono prodotti dalla Sub Pop? Hanno pure fatto una cover dei Flipper…vi dice niente?).
Concerto quindi piacevolissimo, a parte forse i passi di danza del bassista e i suoi slanci verso i flash dei soliti fotografi che ad un certo punto cominciano a diventare irritanti. Il cantante invece mi sta simpatico, forse perchè appena salito sul palco omaggia i Teenage Funclub (che avevano appena suonato – N.d.B.), riconoscendo di avere quel minimo di cultura indie che non fa mai male.
Complessivamente un bel gruppo e il CD “Nothing Hurts”, se non da comprare, va sicuramente scaricato.

Wavves

Da questo gruppo mi aspetto un bel concerto. Scoperti grazie al solito Pitchfork, sono un gruppo di 3 ragazzotti californiani dediti allo spasso e al cazzeggio. Cercando in rete poi si scopre che il cantante è dedito a diversi altri svaghi, tanto che nell’edizione 2009 del Primavera Sound Festival non riesce a finire il concerto perchè fuori come un balcone (i video su youtube sono abbastanza imbarazzanti).
Stavolta invece si droga di meno, col risulato che il concerto è uno dei più divertenti dell’anno. Distorsioni acidissime, volume a palla e canzoni che ti fanno venir voglia di pogare come quando si era piccini ai concerti dei Punkreas. E infatti sotto il palco si scatena il delirio…era da veramente un sacco di tempo che non vedevo così tanti stage diving, tanto che alla fine mi ci sono buttato anch’io (nel pogo, non dal palco).
Anche a vederli sono simpatici, sembrano il classico gruppo delle assemblee d’istituto di quando si era alle superiori e il batterista, che ricorda un Jerry Lewis ventenne e ciccione, diventa subito il mio eroe.
A parte la nostalgia per i tempi andati, gli Wavves sono bravi sul serio. Anche ascoltando il CD “King of the Beach” l’impressione non cambia. Surf-punk psichedelico, tastierine Casio, canzoni grondanti cazzate e riflessioni adolescenziali che vi ritroverete a canticchiare quando meno ve l’aspettate.

Sabato 27 riesco a vedere solo un concerto che però avrei fatto bene a perdere.

Ganglians

Suonano il pomeriggio al Moog e, non conoscendoli, decido di andarli a vedere principalmente per il locale che mi era piaciuto tanto con i Tweak Bird.
Arrivo che hanno già iniziato, il Moog è pieno e faccio una discreta fatica ad arrivare verso il palco.
Tutta fatica sprecata che a saperlo facevo bene a starmene al bancone a provarci con la cameriera.
Anche qui abbiamo a che fare con la nuova scena psichedelica americana, quindi capelli lunghi, riverberi, coretti surf e ancora riverberi, il che potrebbe anche piacermi, ma a quanto pare i ragazzi hanno una serata di cacca. Il chitarrista ha qualche problema con gli effetti e anche il microfono della seconda voce sembra non volerne sapere di funzionare, momenti d’imbarazzo che il gruppo non riesce evidentemente a gestire…che ne so, di solito il batterista parte con un giretto o il cantante racconta qualcosa al pubblico. Niente,  mentre il cantante passa il tempo a sistemarsi le ciocche di capelli lisci e biondi , gli altri cercano di far funzionare le cose nel silenzio totale.
Ad un certo punto, sistemati i problemi tecnici ricominciano a suonare, ma la situazione non migliora, si vede che dal vivo non hanno una grande esperienza e lo spettacolo è deludente e un po’ noioso. Per fortuna rimangono il bancone del bar e la cameriera.

La sera decido di passarla con alcuni amici sperando di convincerne almeno uno a tornare a vedere gli Wavves e Los Massieras (andatevi ad ascoltare il loro remix di “Rumore” di Raffeaella Carrà), ma si finisce in un bar a stroncarci di mojito e alla fine l’alcool vince sulla cultura 6 a 0.

28 novembre

L’ultimo giorno di festival riesco a vedere due concerti dei cinque in programma (lo so, non sono molti, ma sfido voi a vedere tutta sta roba da soli e in tre giorni). Il primo è quello di:

Zola Jesus


Anche qui avevo sentito qualcosa sul loro myspace prima di partire per Barcellona, ma sinceramente non sapevo cosa aspettarmi, sapevo solo che il loro nome è uno dei più belli degli ultimi tempi.
Sul palco sono in due, ma è come se ci fosse solo lei, la ventiduenne Nika Roza Natilova. Ragazza dai capelli biondissimi e dalla voce potente e particolare che, vestita in una tutina nera, si muove tra il fumo e le luci blu e fucsia del locale, usando il cavo del microfono come fosse un boa di piume di struzzo. Le atmosfere sono quelle di un club underground berlinese degli anni ’80 con una Marlene Dietritch post-punk a cantare su basi elettroniche cupe e percussive, uno spettacolo decisamente affascinante e coinvolgente.
Esco pensando che a 22 anni io non ero così fico.

Uscito dal La2 col CD degli Zola Jesus in tasca, salgo le scale e arrivo alla sala Apolo per l’ultimo concerto.

Holy Fuck

Loro invece li conosco bene e sono il motivo principale per il quale alla fine ho deciso di vedermi il Primavera Club. Musica strumentale, ritmi danzerecci, sperimentazione e groove come piovesse.
Sul palco sono in quattro; batteria, basso e due postazioni zeppe di pedalini, macchinari elettronici, tastiere giocattolo e chissà che altro. Iniziano subito alla grande e capisco che sarà il concerto più bello del festival. La batteria e il basso creano delle strutture ritmiche perfette, potenti e pulite, mentre le macchine fanno partire loop filtrati da innumerevoli marchingegni che fanno il resto, un tappeto di suoni che partono piano e poi salgono, salgono, salgono e alla fine esplodono.
La gente all’inizio li studia un po’ indecisa sul da farsi , ma dopo qualche pezzo non riesce più a stare ferma e si finisce a ballare come ad un concerto dei Chemical Brothers (ai quali gli Holy Fuck devono parecchio ad ascoltare la loro Silva&Grimes su “Latin”), solo che qui la musica è creata al momento e SUONATA.
Anche questo concerto purtroppo finisce mentre tutti i feticisti come me sono a fotografare gli effetti e le macchine del gruppo per carpirne i segreti (scoprendo a casa che non hanno poi sto granchè, ma che sono “solo” bravi).
Provo a comperarmi il CD, ma li hanno finiti tutti al concerto del giorno precedente…ma và?

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Drink To Me

Drink To me

 
Prima la quadruplice autoproduzione di fulminanti EP, poi l’album d’esordio ufficale ("Don’t Panic, Go Organic!") su Midfinger nel 2008, registrato a Londra e mixato da Andy Savours (assistente di Alan Moulder che ha messo le mani su lavori di Blonde Redhead, Yeah Yeah Yeahs, The Killers, The Horrors e tanti altri).
Dopo aver suonato in tutta Italia e aver riscosso consensi entusiasti finalmente i Drink to me sono cresciuti. Brazil (il nuovo album N.d.B.) mette sullo sfondo la matrice più rock del trio di Torino/Ivrea. Emergono con prepotenza gli strumenti elettronici e la scrittura si concentra sulla ripetizione krauta-minimalista e su una sezione ritmica più coinvolgente che non disdegna citazioni brasiliane o africane. Il tutto senza perdere di vista l’esigenza di scrivere canzoni e melodie memorabili, o meglio di conciliare follia, sperimentazione e pop.

"Se il mondo girasse per il verso giusto, i Drink To Me sarebbero destinati a una certa notorietà all’estero e al dovuto spazio sugli NME del caso."
Rumore

 
Vediamo a Vicenza che riescono a fare
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