Era da tempo che li tenevo d’occhio, che aspettavo si avvicinassero abbastanza per andarli a vedere dal vivo. Anche spendere i 130 euro del Primavera Sound a Barcellona non mi sembrava così assurdo nella prospettiva di vederli sul palco.
Per fortuna il Locomotiv di Bologna ha deciso che avrebbero suonato molto più vicino e ad un prezzo obiettivamente più onesto.
Vi sto parlando dei Deerhunter, gruppo di Atlanta (Georgia) in giro ormai da 10 anni…meglio tardi che mai.
Il Locomotiv è un bel locale; si trova in un centro sportivo accanto alla ferrovia di Bologna, un grande parco con platani, viali alberati, baretto e l’impressione di stare ad una festa della polisportiva del quartiere. Dentro, un’unica grande sala (un ex-bocciodromo?) dove il rosso la fa da padrone, ma forse è solo un’impressione.
Prima dei Deerhunter suonano i Lower Dens da Baltimora. La gente con loro è ancora poca e riesco a vedermi bene il concerto.
Rimango impressionato dalla quantità di pedalini ed effetti per chitarra che ci sono sul palco…ora ho capito cosa si intende per shoegaze! Non ho idea di come riescano a gestire tutte quelle scatoline magiche, ma a quanto pare per loro non è un problema visto che il concerto fila liscio e senza intoppi. Atmosfere in bilico tra la new wave e il beach sound, non riescono a convincermi del tutto, il loro suono mi ricorda troppo i tanti nuovi gruppi che arrivano ultimamente dall’America.
Poi, con Jailhouse Rock come sottofondo salgono sul palco i nostri quattro.
Per primo avevo ascoltato Microcastle, terzo (ma allora lo ignoravo) album della band e non mi sono piaciuti subito, o perlomeno c’è voluto un po’ di tempo prima di inserirli nella playlist di vlc e non toglierli più.
La definizione che per me meglio si adatta al loro suono è quella di “paesaggi sonori”, a cui uno tra i miei più attenti lettori saprà sicuramente associare un significato…riverberi, loops, rumori, riff che si sommano, si sormontano assieme alle voci fino a creare un immaginario sonoro psichedelico e onirico che rasenta, a mio giudizio, la perfezione.
Nei due LP che ho ascoltato (Microcastle, appunto, e Halcyon Digest) non c’è solo questo, ma anche melodie trascinanti, ritornelli irresistibili, e in tutti i brani si ascolta un suono maturo, il suono di chi sa sperimentare e giocare con la musica con gusto e armonia senza cadere (troppo) nello stereotipo. Se non avessi paura dei vostri commenti, oserei paragonarli ai Sonic Youth. Non tanto per il genere, quanto per la capacità di creare musica con suoni non sempre convenzionali, ma sono aperto alla discussione su questo punto.
Rimango stupito quando vedo salire sul palco quattro ragazzi ai quali non riesco a dare più di 22 anni ciascuno. Il loro aspetto non rientra affatto nell’immagine che mi ero costruito ascoltando la loro musica e mi lascia per un attimo interdetto.
Poi cominciano a suonare e mi abituo facilmente al magrissimo cantante e chitarrista Bradford Cox, all’aspetto da orsacchiotto del bassista Josh Fauver, al viso di adolescente del chitarrista Lockett Pundt e alla somiglianza con Giorgio Trez del batterista Moses Archuleta (e se non conoscete Giorgio Trez è un vostro problema).
Sul palco si comportano bene, anche se davvero l’impressione che sia un gruppo di nerds timidi e un po’ impacciati non mi abbandona mai del tutto. Suonano anche molto bene e, come i Lower Dens, riescono a gestire suoni iper-riverberati senza far fischiare nulla e mantenendo sempre una pasta sonora equilibrata ed intensa. E poi nulla, le canzoni sono proprio belle e la gente se ne accorge.
La temperatura all’interno del Locomotiv (che nel frattempo si è riempito a dismisura) sale, non solo metaforicamente, fino a rendere l’ambiente saturo dell’umidità traspirata dalle centinaia di persone presenti. Faccio fatica ad arrivare alla fine del concerto, perché l’intensità della musica e la temperatura cominciano a farmi mancare le energie. I pezzi vengono allungati fino a durare anche 10 minuti, minuti elettrici e ipnotici, che mettono a dura prova la mia resistenza.
Decido quindi di uscire prima degli altri e mi guardo il fiume di persone uscire dal locale…eravamo in tanti.
Aspetto Giulia, ci fumiamo una cicca sfiniti e contenti di aver visto l’ennesimo bel concerto, e cantando “walking freeeee, uòh-oh” ci avviamo verso la macchina.